Don Felice

Don Felice Verni è stato innanzitutto e soprattutto un presbitero. Lui viveva da prete, studiava da prete, si “divertiva” da prete.

Qualcuno dice che era anche filosofo, ma è stato filosofo proprio perché prete. Qualcuno dice che era anche medico, ma è per far bene il prete che è diventato medico. Non c’era niente nella sua vita che non fosse legato a doppio filo con il suo mandato di presbitero.

È stato ordinato il 30 giugno del 1968, dopo essersi preparato presso il seminario interdiocesano di Posillipo, a Napoli, e ha avuto come primo incarico il ruolo di viceparroco nella chiesa madre di Mola. Ha subito cominciato ad attirare l’attenzione di molti giovani, a cui ha fatto gustare la grandezza e l’intelligenza della fede.

Riusciva ad avere contemporaneamente uno stile serio e goliardico: quando c’era da festeggiare superava tutti in allegria e immaginazione, ma quando c’era da fare sul serio pretendeva la massima serietà e il massimo impegno. Questo è stato il suo timbro per tutta la vita.

Oltre ai giovani, era capace di frequentare gente di ogni età e condizione sociale, dai professionisti ai frequentatori di cantine. E ognuno si sentiva a suo agio, ma anche stimolato a migliorare.

Cominciò da subito a frequentare la facoltà di Filosofia. Siamo nel ‘68, anni di ribellione e anticlericalismo, specialmente nelle facoltà umanistiche, ma lui non temeva di frequentare le lezioni vestito in abito talare. Anzi, ho l’impressione che si divertisse. Anche in ambito accademico ebbe tanti amici, e non solo tra persone credenti: la sua passione per lo studio e le sue competenze nell’affrontare con sapienza tematiche serie attiravano l’attenzione di molti. Spesso allacciava amicizie sia con colleghi universitari che con docenti.

Ricevette il mandato di parroco presso la parrocchia Sacra Famiglia al Villaggio dei Lavoratori, in Bari. Qui continuò ad attirare giovani anche grazie alla sua passione e conoscenza della musica. Ovunque andasse, formava gruppi di giovani a cui trasmetteva il gusto per la musica sacra di spessore, aiutato da un gruppo che lo aveva seguito da Mola. Poté così continuare il suo ministero con grande efficacia.

A metà degli anni ’80 fu destinato dall’arcivescovo Magrassi alla parrocchia di San Ciro, a Mungivacca, dove è rimasto fino alle dimissioni. Nel frattempo, intraprese gli studi di medicina e fu nominato cappellano dell’Ateneo di Bari. Subito si radunò intorno a lui un folto numero di universitari, sia studenti che docenti, attirati innanzitutto dalle sue omelie e dalle sue lezioni, ma anche dal suo stile gioioso e ironico.

Pretendeva da tutti — giovani e adulti — un comportamento morale adeguato, affinché non si perdesse mai di vista il vero motivo dello stare in parrocchia. Ben presto cominciò ad individuare tra i frequentanti alcuni che potessero servire Cristo con il sacerdozio. I suoi sforzi non vennero delusi, tanto che attirò al ministero sacerdotale ben sette giovani.

Una caratteristica importante del suo ministero è stato l’accompagnamento ad personam, per svolgere il quale non esitò ad eliminare tante attività comunitarie che avrebbero tolto tempo a questo servizio. Seguiva le persone una per una, dedicando molto tempo ai colloqui, prendendosi cura di ognuno, tanto che per molti è stato come un padre. In questa cura ci metteva tutto il suo sapere di credente, teologo, filosofo, psicanalista e medico. Ogni suo studio era destinato esclusivamente ad aiutare le persone spiritualmente, psicologicamente e fisicamente.

Ma il segno più importante di don Felice era il suo amore per Gesù Cristo. Un amore che ha vissuto con profondità, con tutto sé stesso, con intelligenza e passione, e che ha cercato di trasmettere agli altri senza risparmiarsi. Un amore che lo ha portato spesso a scelte dure, a essere rifiutato e incompreso. Un amore che gli ha permesso di essere una persona libera, senza compromessi ma con un grande senso della realtà. Un amore che gli ha permesso di vivere anche le sue ultime ore di vita con grande speranza e attesa di incontrarlo.

Ha vissuto così, amando Dio e amando il prossimo. E tutti coloro che lo hanno conosciuto gli sono grati per la sua fede, per la sua speranza e per la sua carità.